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Exploring The Digital Transformation Era - Delio Picciani

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L’economia del Bel Paese stagna e anche noi non ci sentiamo troppo bene. Che fare?

L'incertezza e la mancanza di una visione del futuro stanno uccidendo la nostra economia, la serenità e l'ottimismo sociale necessari per la ripresa.

Delio Picciani · Data di pubblicazione: 5 Novembre 2019 · Ultimo aggiornamento: 5 Aprile 2020 Economia e Sviluppo SostenibilePrivate Equity-Venture Capital

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La stagnazione e le sue cause prime
Le banche, i miliardi fermi sui conti correnti e la stagnazione dei consumi
Caro correntista da domani li paghi tu i miei costi sugli interesse negativi
Quali le possibili conseguenze di questa svolta se seguita anche da altri gruppi bancari italiani
Stupefacente. L'italia prima in ricchezza ed ultima nel Pil.
Forse a ben guardare c'è anche un bicchiere mezzo pieno a proposito di tassa bancaria sui conti correnti
Stralcio audizione di Confindustria con le Commissioni Congiunte Bilancio Senato e Camera per il Disegno di Legge di Bilancio 2020
E quindi? Che fare?

La stagnazione e le sue cause prime

Con questo primo breve articolo introduttivo inauguro una serie dedicata agli approfondimenti che sto conducendo da tempo seguendo media, economisti, osservatori, società internazionali di consulenza.
Essi affrontano praticamente ogni giorno il "tema economico italiano dei temi economici": come il nostro Paese può reagire alla stagnazione.

Ma qual'é il significato di stagnazione al di là delle convenzioni? Tutti capiamo - e la Treccani ne dà una spiegazione semplice ed efficace - che stagnazione nel linguaggio economico é la condizione in cui produzione e reddito nazionale restano immobili, senza aumentare né diminuire. Se relativa a un periodo prolungato, individua una fase di progressiva contrazione della crescita economica.

Detto ciò, ogni giorno osserviamo analisi su analisi dei motivi che portano a tale situazione. Ed ogni tanto qualcuno mette il dito nella piaga. Ed anch'io sono fra quelli che considerano il vero problema qualcosa che non é semplicemente dentro la finanza, la politica, la geo-politica che sta vivendo mutazioni epocali,.

La trasformazione digitale da qualsiasi parte la si guardi sta distruggendo  il lavoro come lo abbiamo conosciuto. E non sono sicuro che il messaggio degli esperti, fautori e gli entusiasti di questa mutazione epocale vedano giusto affermando che ci sarà una compensazione dovuta alle nuove opportunità.

La cosiddetta digital transformation non sappiamo ancora bene se é superiore alla digital disruption. 

money

Io credo che il virus globale che separa l'umanità in due parti - dato che sta sparendo la classe media e restano solo i ricchi ed i poveri o quasi - sia la dissolvenza della centralità dell'uomo nell'insieme di accadimenti del mondo, per cui egli sparisce nelle decisioni dei luoghi del potere. E se bene o male alla fin fine é sempre stato così, oggi lo é di più. Perché globalizzazione ed informazione diffusa hanno mutato tutto.

E viene dimenticato e quando va bene accantonato,  il fine ultimo di ogni azione presa dai gangli del potere politico ed economico o meglio dagli uomini che tali gangli governano. Ovvero l'uomo e la sua felicità, o quantomeno il suo benessere. Il fine é qualcos'altro ed io stesso farei fatica a definire quel qualcosa d'altro. Non sono un complottista però credo che abbia a che fare con giustizia sociale, distribuzione equa del reddito, meritocrazia, finanza, economia, benessere dei cittadini, benessere e vitalità delle imprese e degli imprenditori.

E poiché non sono pochi quelli che guardano a questi ragionamenti con sospetto, pronti a liquidarli perché in odore politico possibilmente di parte, si badi bene che sono molte le evidenze da cui si capisce che stanno iniziando ad essere fortemente preoccupate le stesse elite occidentali.

Attente e preoccupate nel cogliere i segnali del declino - ad esempio - della vecchia Europa. Ma stiamo pur tranquilli che qualche preoccupazione la hanno anche le elite più forti occidentali come quelle americane davanti all'avanzata del colosso cinese o dell'India solo per citarne i più importanti asiatici.

La finanza, i grandi brand, le grandi società di consulenza, i capitani d'industria, i grandi player digitali ci stanno pensando. Se non proprio alla felicità - figurarsi - ad alcuni principi etici: sostenibilità, il consumatore al centro, nuovo umanesimo, le dichiarazioni recenti di buoni intenti di un panel importanti di imprese americane (oltre 150). Le interviste dei magnati che parlano essi stessi di nuovo umanesimo. Solo esempi.

Ecco sì molto "nuovo umanesimo". Secondo il mio modesto parere con un grande pericolo però: che anche lì abbiano intravisto semplicemente nuovi business. E che se la raccontino e ce la raccontino.

Fatto questo "pistolottico preambolo" che mi avrà fatto perdere sicuramente i pochi lettori che avevano iniziato a leggere, vorrei rassicurare che torno subito sulla Terra. Cominciando col proporvi di chiedere ad uno storico affermato come il prof. Alessandro Barbero le cause complesse della caduta dell'Impero Romano. Poi possiamo forse tornare sui miei pistolotti, perché qualche similitudine con la nostra situazione attuale occidentale c'è. 

Un cardine per uscire dalla stagnazione é fare investimenti produttivi, per cui ci vogliono soldi, ma lo Stato dice di non averne perché li spendiamo soprattutto in debito pubblico ed in interessi su tale debito. E allora bisogna cominciare a cercarli sti soldi: per investire nell'economia reale. E ci sono, e sono tanti, proprio tanti. E le imprese che con finanziamenti decenti potrebbero fare meraviglie in Italia ve ne sono. E sono tante...

Le banche, i miliardi fermi sui conti correnti e la stagnazione dei consumi

Ferruccio De Bortoli qualche tempo fa dalle pagine di Corriere Economia lanciava una provocazione, evidenziando un risultato negativo che deriva dall'attuale drammatica direi incertezza in cui si muove il nostro Bel Paese: oltre 1.404 miliardi fermi sui conti correnti bancari delle famiglie italiane.

Vale a dire - scrive De Bortoli - che circa un terzo delle ricchezze private del Paese è mantenuta liquida anche a costo di rendimenti negativi, con una raccolta salita di 1,8 miliardi ovvero + 5,2% rispetto all’anno prima ed i depositi del 6,6%.

Ma un altro dato fa riflettere perché non impatta solo sull'economia, ma è un segnale che dovrebbe preoccuparci tutti. E De Bortoli cita il direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Ivass, Fabio Panetta. In un recente convegno ha spiegato come «nel 2018 gli italiani hanno speso 107 miliardi in giochi e lotterie legali (più del doppio di 10 anni prima). Al confronto, i 17 miliardi di premi del ramo danni-non auto, sempre nel 2018, sono una cifra irrisoria».

Sono due segnali che denunciano da una parte il fenomeno della ludopatia - complice lo Stato sempre a caccia di soldi - che sta rovinando tante famiglie, dall'altra l'evidente mancanza di fiducia e soprattutto di visione del futuro da parte degli italiani.

Quando poi il direttore di banca dice educatamente alla sua non ancora cliente: «Signora, lei mi chiede cosa le posso offrire di interessi se trasferisce il suo contante da noi. Io le suggerisco di tenerlo pure nella sua banca se intende lasciarlo su un conto».

Ecco, quando si arriva a questo – e me lo ha raccontato proprio un direttore di filiale – qualcosa d’importante si è spezzato nella nostra economia. Che per le banche sia addirittura controproducente la liquidità sul conto corrente perché rappresenta un costo, sovverte ogni logica che abbiamo conosciuto sino ad oggi riguardo ai "posti" dove teniamo i nostri soldi.

Sappiamo che regole comunitarie ed avversione alle sofferenze hanno allontanato le banche dalla loro primaria missione, ovvero quella di finanziare la spesa per investimenti, in particolare per la piccola impresa. Infatti sempre De Bortoli fa notare che «l'area non bancabile dei soggetti economici si è estesa a dismisura e gli strumenti di finanza alternativa al canale bancario sono poco diffusi, Borsa inclusa».

E si pone un interrogativo pesante su un possibile scenario, « uno scenario che dovrebbe non inquietare, ma almeno porre qualche interrogativo ai titolari, famiglie e imprese, di depositi. In alcuni Paesi il rendimento dei conti correnti è già negativo. In Italia già succede per quelli interbancari in linea con le disposizioni della Bce. Accadrà presto anche per la clientela minuta che comunque già paga costi di gestione non trascurabili? »

Bè, io davanti ad una prospettiva del genere non mi inquieto ma insomma...e quindi cerco riscontri. E che scopro? Ecco appunto: notizie che sicuramente alimentano il pessimismo. Io invece per certi versi vedo un bicchiere pieno a metà. Purché in tutta la faccenda che vi riassumerò, si presti attenzione nel tutelare i piccoli risparmiatori dai redditi modesti, oppure per loro sarà un vero guaio.

Caro correntista da domani li paghi tu i miei costi sugli interesse negativi

AD Unicredit Mustier

Jean Pierre Mustier AD Unicredit e nuovo presidente di Ebf

Tutto parte da quanto dichiarato da Jean Pierre Mustier al suo esordio come nuovo presidente della Federazione Europea delle Banche (Ebf) davanti ai banchieri: trasferire i costi dei tassi negativi ai clienti di conti correnti. Costi che come riporta il Sole 24 Ore «dal 2014 a fine 2018, come effetto della politica dei tassi negativi sui depositi messa in campo dalla Bce, ha provocato perdite per oltre 23 miliardi nei conti delle banche europee. Solo nel 2018 si calcola che il danno economico sia stato di 7,5 miliardi».

Lo stesso Mustier sempre secondo il Sole24Ore - ma c'è un'ampia rassegna dei media a confermarlo - ha dichiarato che per assicurare «la massima efficienza» alla politica monetaria della Bce «sarebbe estremamente importante che i tassi negativi non si fermassero nei bilanci bancari. Insomma ha auspicato che «la Bce sia lei a dire alle banche, “per favore passate i tassi negativi ai vostri clienti”, proteggendo naturalmente i piccoli clienti con depositi inferiori ai 100 mila euro».

Ma Mustier é anche Ceo di Unicredit. E qui iniziano i dolori. Guarda caso proprio Unicredit sembra intenzionato a recuperare le perdite dovute ai tassi negativi con la più semplice delle soluzioni.

A partire dal 2020 la banca girerà l'impatto dei propri costi dovuti ai tassi di interesse negativi ai propri clienti correntisti ma «ben al di sopra» la soglia dei 100mila euro.

Anche se non capisco esattamente cosa significhi in termini numerici questo « ben al di sopra». E a quanto sembra questa soluzione potrebbero attuarla molte altre banche italiane che in un primo momento avevano escluso azioni del genere.

Quali le possibili conseguenze di questa svolta se seguita anche da altri gruppi bancari italiani

Se io prima di parlarvi delle conseguenze negative e delle reazioni critiche a seguito della mossa di Unicredit vi dicessi che ipotizzo un lato positivo della faccenda? Perché non credo che piaccia a nessuno vedersi praticamente puniti dalla propria banca perché tiene soldi sul conto. E a quel punto chi si fiderà più della soglia minima oltre i 100 mila euro per tale "tassa"? Dove portare la liquidità parcheggiata che non solo non rende niente ma costa persino?
E se lo si incentivasse a portarla almeno in parte verso l'economia reale?

Diciamolo subito. In Europa il fatto che vengano praticamente tassati dalle banche i depositi in conto corrente con interessi negativi sta già succedendo qui e là, e non da oggi. È il caso ad esempio della Volksbank, la numero due delle banche cooperative tedesche, che applica un tasso dello -0,5% sui depositi superiori a 100.000 euro.

Oppure delle svizzere UBS e Credit Suisse per conti correnti però ben oltre il milione di euro.
Nel contempo, dopo la presa di posizione della federazione europea delle banche, i colossi Deutsche Bank e Commerzbank sembrano avviate sulla stessa strada

Ovviamente sono molte le reazione a questo annuncio. Ad iniziare da Codacons che ha presentato un esposto a Bankitalia e all'Antitrust facendo seguire dichiarazioni molto dure che vale la pena riportarle integralmente. Come si evince dal suo sito nella sezione Rassegna Stampa (ANSA ) «Il Codacons è pronto a una battaglia legale contro le banche che scaricheranno sugli utenti i costi dei tassi negativi..ed ha diffidato Unicredit a non applicarli sui conti correnti.
Codacons è inoltre pronto a lanciare un boicottaggio contro tutte quelle banche che adotteranno politiche analoghe a quella di Unicredit, spingendo i clienti a spostarsi verso altri istituti di credito. L’applicazione dei tassi negativi avrà infatti impatti economici enormi sugli utenti, introducendo una vera e propria tassa sui conti correnti e spingendo i correntisti ad effettuare in modo coattivo investimenti che, in assenza di tale politica, non avrebbero scelto, con evidenti vantaggi per la banca.
Se ciò avvenisse, si verificherebbe una grave violazione del diritto fondamentale di cui all’articolo 47 della Costituzione e verrebbe lesa la fondamentale libertà di impiegare il proprio denaro come meglio si crede, afferma sempre l’associazione dei consumatori.
In sostanza la banca che applica tassi negativi ottiene ulteriore denaro da chi ha conti correnti superiori ai 100mila euro, e può investire tali risorse aggiuntive elargendo prestiti a tassi di interesse remunerativi per l’istituto di credito. Tra l’altro i soldi dei correntisti, come noto, non rimangono fermi nelle casse delle banche ma vengono usati per concedere credito».

Ma se dalle reazioni passiamo alle riflessioni sulle conseguenze, ne balzano agli occhi subito alcune fra quelle sicuramente negative, ma di certo ve ne saranno altre. Poi verrò alla faccenda del possibile lato positivo o quasi.

Come gestiranno le imprese la liquidità che fa parte della normale attività del capitale circolante funzionale alla pratica quotidiana aziendale? La tesoreria, cassa, chiamiamola come vogliamo ma comunque una gestione che riguarda ogni imprenditore ed impresa piccolo o grande, é una funzione fondamentale.

Provate ad immaginare lo scenario in cui con tutte le incertezze del quadro economico e normativo si muoverà il povero tesoriere che deve stare attento anche alla "tassa bancaria" che premierà..si fa ovviamente per dire, la giacenza sul conto. Se poi il tesoriere é il piccolo imprenditore o un componente della gestione familiare d'inpresa?

Certo, le banche si affretteranno ad offrire strumenti di impiego flessibili per lasciare sul conto una soglia massima fino ai famosi centomila. Ma chi garantisce che il sistema bancario adeguandosi alla prassi del tasso negativo al cliente non si avvalga - ad esempio - di fondi monetari con l'obiettivo di avere almeno un tasso di rendimento pari a zero?

Poco male si dirà. Eh no. Chi ci dice che per questioni di concorrenza e per offrire qualcosa in più non si aumentino i rischi con i probabili titoli di bassa qualità contenuti in quei fondi? E le commissioni da aggiungeranno sulle spalle del povero correntista dove le mettiamo?

Non resta che attendere al riguarda il 2020 per vedere cosa succederà. Io previsioni certe non ne vedo al momento da parte degli esperti.

Stupefacente. L'italia prima in ricchezza ed ultima nel Pil.

Secondo l’ultimo report Global Wealth Report dell’istituto di ricerca di Credit Suisse, l’Italia si trova al primo posto insieme ad economie molto più ricche in questa particolare classifica.

Purtroppo è una notizia che pur non essendo una bufala registra un primato scarsamente invidiabile. Infatti la classifica riguarda una mera proporzione e non un valore assoluto di ricchezza prodotta: la ricchezza patrimoniale delle famiglie italiane confrontata con il nostro Pil.

A dire il vero mera per modo di dire perché comunque è un indicatore che dà un segnale strano se vogliamo, non ancora valutabile se buono e meno per il nostro Paese. Anche se gli analisti tendono ad evidenziarne una tale anomalia da ritenerlo insostenibile nel medio periodo.

Ed indagando meglio, sono incorso in un interessante articolo di Federico Fubini che dalle pagine del Corriere Economia fa una disamina del report di Credit Swiss e secondo me si sposa bene con quella di Ferruccio De Bortoli sui 1.400 miliardi delle famiglie italiane fermi sui conti correnti.

In parole povere dal report risulta che avviene un miracolo alla rovescia: cresce il patrimonio famigliare e sale più dei redditi da lavoro e da pensioni. Quindi reddito e ricchezza vanno per strade opposte.

Come nota Fubini, lo squilibrio unico nel suo genere appare con molto probabilità insostenibile, in quanto non ha quasi nessun caso analogo. E sono di questo parere a quanto pare anche gli analisti di Credit Swiss che da una parte richiamano uno scenario positivo per il nostro Paese. Dall’altra però evidenziano come una ricchezza patrimoniale crescente a dispetto della non produzione di reddito per motivi del tutto contingenti - ad esempio crescita del valore immobiliare - contiene in sé un fattore « bolla» che può scoppiare. Insomma questo nostro primato non ci può rendere tranquilli.

E per stare sul pezzo, tutta questa ricchezza che cresce ma è  tenuta ferma e soprattutto non alimenta impieghi utili a stimolare la produzione di reddito, crea un circolo vizioso:  non favorisce né investimenti per produrlo questo benedetto reddito necessario a smuovere il Pil italiano e  - scusate il gioco di parole-  neanche reddito per favorire consumi. Che stagnano guarda caso, se escludiamo aggeggi tecnologici, giochi e lotterie oltre ai giochi d’azzardo e scommesse illegali; e vi pare cosa?

Io però faccio un’altra considerazione oltre a quella nota e popolare sui consumi, il cui andamento indubbiamente aiuta o meno l’economia.
Questa liquidità – pronta cassa o comunque riscuotibile a breve parcheggiata in strumenti monetari diversi – non é solo una massa da spingere verso una maggiore spesa corrente delle famiglie italiane o forme diversificate di "mero" risparmio. CHe peraltro offrono rendimenti scarsi, non a caso anche i famosi "bot people" si stanno rarefacendo. E chi ha avuto la saggezza negli anni di investire in buoni postali cerca di tenerseli ben stretti.

Eppure forse c'è una terza pur difficile via maestra dai molti sentieri tracciabili per favorire l'impiego di tale liquidità - almeno una parte- verso l'economia reale, ovvero quella che produce beni e servizi generando reddito.

Forse a ben guardare c'è anche un bicchiere mezzo pieno a proposito di tassa bancaria sui conti correnti

sede Banca Centrale Europea

Palazzo BCE

Mentre continuano polemiche e analisi sulle ripercussioni che nel 2020 potrebbero ingenerarsi se una parte importante del sistema bancario seguirà la strada di Unicredit, non ho ancora sentore di analisi circa i possibili risvolti positivi della faccenda.

Però sono possibili nuovi scenari che potrebbero aiutare a portare flussi di denaro verso l'economia reale. Partendo da due semplici constatazioni.

  1. La liquidità attuale non trova forme di impiego minimamente soddisfacenti in termini di remunerazione e nel contempo a ragionevole tasso di rischio, date le condizioni del mercato;
  2. Arrivano segnali importanti di spostamento verso investimenti a medio-lungo termine a favore dell'economia reale.
    Lo afferma Giuseppe Grande, direttore senior del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia secondo il quale «il fenomeno risponde a una esigenza strutturale del sistema finanziario di diversificare le opportunità di investimento dal lato dei risparmiatori, e le opportunità di finanziamento dal lato delle imprese”.
    Al contempo Giuseppe Grande fa notare che una delle condizioni perché prosegua questo trend é quella che investitori e intermediari siano capaci di gestire i rischi connessi a queste tipologie di mercati, ossia illiquidità e minore visibilità delle imprese che emettono titoli sui mercati privati.
    A fronte di tali capacità i piccoli risparmiatori non devono avere accesso diretto a queste forme di attività finanziarie, ma solo attraverso fondi di investimento, tipicamente con una struttura chiusa, e con competenze e dimensioni tali da assicurare un'adeguata diversificazione e gestione dei rischi.» [fonte focusrisparmio.com/].
    N.B. È quasi una chiamata in campo dei piccoli risparmiatori, di cui i più con la loro brava liquidità ferma sui conto correnti.
     
  3. Ma un altro riscontro "domestico" - non il solo - arriva dal possibile piano di investimenti nell'economia reale in asset illiquidi da parte dei fondi pensione italiani. Le notizie giungono da Assofondipensione che sta esplorando con Cassa Depositi e Prestiti possibili impieghi in strumenti specifici per tale progetto.

  4. Le attese per i ripensamenti sulle possibili agevolazioni fiscali per gli investimenti in venture capital/private equity come i Pir - i pianti individuali di risparmio e così torniamo a parlare di piccoli risparmiatori ed i loro parcheggi bancari - nella manovra per la Finanziaria 2020, ancora oggetto di una ridda continua di notiziole  e smenticole. L'auspicio da parte degli investitori é quello di tornare alle regole precedenti create con la manovra 2019, con il vincolo del 3,5% per gli investimenti nelle small cap quotate sull’Aim e del 3,5% nei fondi di venture capital.
    Ricordiamo che attualmente la raccolta effettuata con tali strumenti é praticamente ferma, mentre nel 2018 era stata di 4 miliardi, e nel 2017 di ben 11 miliardi o poco meno.

E non é a caso che nell'audizione con le Commissioni Congiunte Bilancio Senato e Camera per il Disegno di Legge di Bilancio 2020, Confindustria abbia ben evidenziato i vantaggi e le opportunità di un ripensamento a proposito di queste agevolazioni. A mio modesto avviso vale la pena leggere con attenzione uno stralcio del contenuto di tale audizione e le prospettive che apre verso uno dei fronti possibili della ripresa dalla stagnazione.

Una chiara visione di come piccoli risparmiatori, fondi diversi alternativi, fondi pensionistici dovrebbero e potrebbero essere spronati ad investire nell'economia reale.

Stralcio audizione di Confindustria con le Commissioni Congiunte Bilancio Senato e Camera per il Disegno di Legge di Bilancio 2020

In particolare, dal documento presentato alle Commissioni congiunte si evince:
«È essenziale cogliere l’occasione della Legge di Bilancio per superare il blocco dei PIR...anche rimodulando o sostituendo i vincoli della Legge di Bilancio 2019 con una misura che, pur favorendo l’investimento delle risorse dei PIR nel sistema produttivo e in particolare nelle PMI, consenta agli operatori di mercato di riattivarne la raccolta a beneficio dell’economia italiana.

Sbloccare i PIR sarebbe inoltre strategico per favorire, attraverso fondi immobiliari, la realizzazione di operazioni di valorizzazione di asset immobiliari delle imprese; in particolare – al fine di migliorare la struttura finanziaria delle imprese, consentendo loro di liberare risorse da investire in programmi di investimento e sviluppo – andrebbe incentivato l’uso dei fondi raccolti con i PIR per favorire la realizzazione di operazioni di“sale and lease back” di immobili aziendali.
Si deve poi continuare l’azione avviata con la Legge di Bilancio 2017 per favorire, attraverso la leva fiscale, l’attivazione di un flusso di risorse degli enti previdenziali per finanziare gli investimenti delle PMI italiane, ma anche lo sviluppo del nostro sistema infrastrutturale.

Oggi, nel nostro Paese, fondi pensione e casse di previdenza, investono una quota molto contenuta del loro patrimonio nel sistema produttivo domestico e quando lo fanno si concentrano comunque su titoli di Stato. Gli investimenti in titoli di debito e di capitale delle imprese italiane sono molto contenuti e, in quest’ambito, sebbene si registrino prime esperienze positive, resta marginale l’investimento in asset alternativi illiquidi.

All’estero la propensione a investire nel settore privato domestico e in asset alternativi è ben più elevata. È essenziale agire per cambiare questa situazione e per spingere gli enti previdenziali a investire di più – fermo restando l’obiettivo di tutelare il risparmio previdenziale degli iscritti e di rispettarne la propensione al rischio – nel sistema produttivo e infrastrutturale domestico.

Basti pensare che se fondi e casse destinassero un 5% aggiuntivo del loro patrimonio in private equity, private debt e venture capital, alle nostre imprese arriverebbero oltre 10miliardi. Un obiettivo ambizioso, ma alla portata, e che è necessario centrare per il bene delPaese e degli stessi lavoratori iscritti ai fondi pensione.

Il bassissimo livello dei tassi d’interesse - addirittura negativi in certi casi - pone l’accento sulla necessità di creare valore per gli iscritti che abbiano propensione al rischio, di investire in asset non tradizionali e illiquidi, ai quali si lega la possibilità di maggiori rendimenti nel lungo periodo. Vi sono tuttavia delle fragilità nel sistema che vanno superate. Non tutti i fondi hanno dimensioni e competenze per investire in asset alternativi.

Serve, a nostro avviso, un progetto per il Paese che accompagni i fondi a investire nell’economia reale nell’interesse congiunto di lavoratori e imprese. Auspichiamo che al più presto – come peraltro previsto dalla Legge sulla concorrenza approvata nel 2017, ma mai attuata – si possa avviare un tavolo di confronto, coinvolgendo le parti sociali, le associazioni di settore e le autorità di Vigilanza, l’Accademia e chiunque abbia significative esperienze da condividere, per discutere di misure che possano favorire, anche attraverso la creazione di consorzi d’investimento, l’investimento dei fondi in asset alternativi.

In quest’ambito, si dovrebbe inoltre valutare, in particolare per le Casse di previdenza, un potenziamento dell’agevolazione fiscale introdotta con la Legge di Bilancio 2017 e innalzata con la Legge di Bilancio 2019."

E quindi? Che fare?

Va bene, abbiamo capito che si comincia a ragionare di tornare ad investire nella Economia Reale. Abbiamo anche capito che c'è un mare di liquidità che non trova sbocchi alternativi, che il timore e l'insicurezza stanno agendo da catalizzatori negativi in un circolo vizioso da cui non si esce.

Che l'Italia e le imprese devono tornare ad investire ma per far questo occorre il fattore fiducia. E soprattutto occorre uno Stato che sa fare la sua parte, ad iniziare da agevolazioni fiscali  ed incentivi veloci per tali investimenti. Ma anche una sua partecipazione diretta, anche attraverso le Regioni, alle forme di sostegno con l'impiego di capitale di rischio.

Dal prossimo articolo inizierò gli approfondimenti sulla finanza verso l'Economia Reale. E la possibile svolta dei sostegni regionali e statali passando - almeno in una quota parte - dai contributi tradizionali alle imprese, alla compartecipazione al rischio d'impresa nelle diversi possibili forme e con ovviamente le opportune tutele.

Economia e Sviluppo Sostenibile Private Equity-Venture Capital

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Homo digitalicus per passione, fra i miei molti interessi sono anche un divulgatore approssimativo informato sui fatti e misfatti nell'Era della Trasformazione Digitale. Qui condivido le mie esplorazioni sui suoi effetti nell'Economia e nella Società. That's it!

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